In questi giorni ricorre l’anniversario dello sbarco di Anzio, che avvenne tra la notte del 21 e 22 gennaio 1944. La città di Littoria (oggi Latina) fu duramente colpita dai colpi di cannone, sparati dalle navi americane. Per averne memoria, ho raccolto in un video diverse testimonianze di chi ha vissuto, in prima persona, la tragedia della guerra nella nostra città. Se non lo avete ancora visto vi consiglio di dargli un’occhiata e, magari, di farlo vedere alle nuove generazioni. Proprio da quel video nasce la storia di cui vi sto per raccontare. Un ragazzo, dopo averlo guardato, mi ha scritto un messaggio che mi ha fatto riflettere… Il ragazzo si chiama Armando Chiavegato e la storia è quella di suo nonno paterno che non ha mai conosciuto, ma che porta il suo stesso nome.
Mi sono sempre interessato ai racconti di guerra. Già da bambino ascoltavo con attenzione i ricordi di mia mamma, e ogni volta che raccontava, mi venivano i brividi. Ricordi così nitidi che sembrava di viverli insieme a lei, dentro il rifugio, ascoltando il rombo degli aerei che andavano a bombardare Montecassino. Ancora oggi mi racconta di Johnny, un soldato americano che le regalava caramelle e che poi morì nello sbarco di Anzio. Conserva gelosamente la foto con quel povero ragazzo.
In questi anni ho scritto diversi racconti sulla guerra a Littoria, grazie alle testimonianze di chi ha vissuto quei tragici giorni nella nostra città. Sono stato talmente coinvolto, da quei racconti, che mi è venuto in mente di realizzare e pubblicare, con lo staff di Latinapress, un videoracconto di quelle tragiche giornate a Littoria. Inaspettatamente, ha avuto migliaia di visualizzazioni.
Il videoracconto sulla guerra a Littoria
Il mio principale obiettivo è quello di arrivare ai giovani, e quando mi contattano è una grande soddisfazione. Proprio dopo la pubblicazione del video, ho ricevuto un messaggio da un ragazzo, Armando Chiavegato, che mi ha rivelato di essere un appassionato di storia del nostro territorio. Inoltre, va alla ricerca di reperti bellici nell’immediata periferia di Latina con un metaldetector. Nel messaggio mi ha anche accennato di suo nonno, mai conosciuto, che portava il suo stesso nome, e lui sta cercando di ricostruire la sua storia .
Ho deciso così di incontrarlo perché, quando un ragazzo cerca le proprie origini merita di essere ascoltato. Tra l’altro, mi aveva scritto già un paio di anni fa, dopo aver letto il mio articolo sui morti civili di Littoria, chiedendomi dove fosse ubicata la tomba della famiglia Gennaro, sterminata nei sotterranei del Palazzo M a causa di una cannonata proveniente dal mare durante lo sbarco di Anzio. Gli diedi l’informazione, ma non approfondii ulteriormente. Perciò quella curiosità mi era rimasta sospesa.
La storia di Armando Chiavegato, internato dai nazisti in Germania

Armando Chiavegato nasce il 22 marzo 1918 a Taglio di Po, in provincia di Rovigo, ed è il secondo di sei figli. Il padre, Pino, è agricoltore, mentre la madre, Alba Pregnolato, aiuta il marito nei campi e si occupa dei figli. Per la famiglia Chiavegato, come per tutte le famiglie della zona, la vita è difficile dopo la guerra del 15/18. Terminate le scuole elementari, Armando è costretto a lavorare nei campi. Nel 1932, essendo un ex combattente, a suo padre verrà assegnato un podere nell’Agro Pontino dall’Opera Nazionale Combattenti.
Il podere è il numero 326 e si trova in via del Saraceno, alla periferia della nuova città di Littoria. Di fatto, continuano a fare gli agricoltori, ma la fame patita appare ormai un lontano ricordo. Armando, intanto, è cresciuto ed è diventato un ragazzo. Di fronte alla sua abitazione c’è il podere numero 332 bis della famiglia Gennaro, anch’essa arrivata dal Veneto, dalla provincia di Padova. In quella numerosa famiglia c’è una bella ragazza, si chiama Romilda, e ad Armando piace molto. I due ragazzi fanno amicizia; poi scoccherà la scintilla e si innamoreranno perdutamente.

Pino Chiavegato con la moglie Alba Pregnolato
I due sono già fidanzati da un po’, quando nel 1939 Armando viene chiamato per la leva obbligatoria. Sarà aviere nella Regia Aeronautica Militare e farà parte del 38° Stormo nella ‘Squadriglia Lecce’. Sarà anche promosso ‘Aviere scelto’ al servizio del Governo il 1° marzo del 1940, in forza all’aeroporto di Lecce. Tre mesi dopo, il 10 giugno 1940, Benito Mussolini annuncia l’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania nazista. Armando sarà trasferito in Albania, all’aeroporto di Tirana.

Anni '40 Armando Chiavegato seduto sulla terra d'Albania
Con Romilda, purtroppo, l’amore continua solo in maniera epistolare. Anche con la famiglia i contatti avvengono tramite lettere. Poi, l’8 settembre del 1943, quando l’Italia firmerà l’armistizio, per Armando e i suoi compagni d’armi saranno dolori. Il giorno dopo vengono arrestati dai tedeschi e deportati in Germania, a Dortmund, in uno Stalag (campo di concentramento per prigionieri di guerra). Sono trattati come traditori e ogni momento è buono per insultarli. Vengono chiamati in modo dispregiativo ‘Badoglio Makkarun’.

I tedeschi propongono loro la libertà a condizione che si arruolino nella Repubblica Sociale Italiana, voluta dopo l’armistizio da Adolf Hitler e guidata da Benito Mussolini, con l’obiettivo di governare i territori italiani controllati militarmente dai tedeschi. Ma Armando e la sua compagnia non hanno alcuna intenzione di sparare contro altri italiani e decidono quindi di rifiutare. Il Duce, comunque, chiede di non trattarli da schiavi: saranno così convertiti da prigionieri a Internati Militari Italiani (IMI).
Gli unici privilegi concessi sono: l’opportunità di spedire e ricevere lettere dai familiari, e la libera uscita dopo il lavoro: un lavoro durissimo in una fabbrica di armi e parti di ricambio per carri armati. In quel nefasto periodo, Armando instaurerà una profonda amicizia con un suo compagno d’armi, Augusto Ponti, in arte Caputo, pittore di origine romagnola.

Albania 1941: Armando Chiavegato secondo da dx e alla sua sx l'amico Augusto Ponti
Intanto, Armando continua a scrivere alla madre e ai vicini di casa, i Gavin, per essere sicuro che le lettere vengano consegnate, e anche alla sua fidanzata Romilda Gennaro. Proprio da una lettera di risposta apprende che gli americani sono sbarcati ad Anzio e che, il 25 gennaio del 1944, hanno colpito il Palazzo M, dove si è rifugiata la famiglia Gennaro. Romilda morirà insieme a quasi tutti i suoi familiari.
1945: sono ormai trascorsi due lunghi anni e finalmente arrivano gli inglesi a cacciare i tedeschi, ma non saranno teneri con loro: li tratteranno alla stessa stregua dei nazisti. Con l’arrivo dei russi, riacquisteranno la libertà. Alcuni dei suoi commilitoni, per il troppo digiuno, mangeranno così tanto da morirne. Un treno li riporterà in Italia. Scriverà su un libro il suo caro amico Caputo: ‘A Cesena arrivammo di notte; io scesi e il mio amico Armando proseguì per Latina. Che dispiacere lasciarsi così: lui è stato meraviglioso con me’.

Il libro pubblicato dal caro amico di Armando, Augusto Ponti in arte Caputo
Dopo aver portato i fiori sulla tomba della sua amata Romilda, la vita ricomincia. Oltre al lavoro nei campi, si inventa mediatore di terreni. Le trattative si svolgono al Circolo Cittadino. Con il guadagno riesce ad acquistare il bar ‘La Baracchetta‘, all’incrocio tra via Torre la Felce e via del Saraceno, a pochi passi da casa. Troverà anche l’amore con Dirce Gavin, pure lei veneta, conosciuta già da ragazzo. Era lei che rispondeva alle sue lettere, quando le mandava anche ai suoi vicini per essere sicuro che arrivassero.

Armando Chiavegato in una delle sue ultime immagini
I due ragazzi si sposeranno e avranno due figli: Antonio e Gabriela. Armando è sempre sorridente, ma a volte è taciturno, segnato dalle ferite psicologiche di quel periodo trascorso in Germania. Purtroppo, Armando morirà nel 1983 a causa di un tumore ai polmoni, probabilmente per le polveri respirate durante i due anni di lavori forzati in Germania.
L’incontro con Armando Chiavegato nipote di nonno Armando

Incontro Armando Chiavegato al Circolo Cittadino. Porta con sé alcuni reperti bellici trovati nelle campagne di Latina, dove si è combattuto. Mi spiega anche che i segni vicino all’Anagrafe, accanto al comune, sono tracce di colpi di fucile. Forse qualcuno è stato giustiziato contro quel muro.
Tu lo hai conosciuto tuo nonno?
“No, sono nato tre anni dopo la sua morte, ma porto con orgoglio il suo nome; voluto fortemente da mia mamma a cui era molto legata”
Ti è mancata la sua figura?
“Ritengo che i nonni siano importanti per i nipoti. Sono convinto che avrebbe avuto tante cose da raccontarmi. Ho cercato, però, di conoscerlo attraverso i ricordi dei miei genitori e del suo caro amico Augusto Ponti, compagno di sventura in Germania, che mi ha raccontato tanti aneddoti di quel periodo. Ha pubblicato anche un libro dal titolo ‘Per non dimenticare’ in cui parla diverse volte di lui”

Romilda Gennaro, caduta insieme alla sua famiglia al Palazzo M, aveva 19 anni
Dopo la pubblicazione del mio videoracconto sulla guerra a Littoria, oltre ad Armando, mi ha scritto anche Rossana Gennaro, ringraziandomi per aver ricordato la sua famiglia, deceduta nei sotterranei del Palazzo M a causa di una cannonata. Si salvò sua madre: cognata di Romilda che era fidanzata di Armando. Un intreccio incredibile, che si è posato sulla mia penna, come se fosse destinato a essere raccontato.
Un’ultima cosa: ai cittadini italiani, militari e civili, deportati e internati nei lager nazisti è riconosciuta una onorificenza per chi ne faccia richiesta. Armando ha presentato due volte la domanda per suo nonno, ma non ha ricevuto alcuna risposta.