Latina Storie

Don Cesare Boschin: il martirio di un grande parroco… dimenticato dalla giustizia

A Latina, nel corso degli anni, non sono mancati parroci straordinari, figure che hanno avuto un ruolo sociale fondamentale. A partire da Don Carlo Torello, primo parroco della città, per poi proseguire con altri sacerdoti che, con discrezione e coraggio, hanno saputo ascoltare e aiutare le persone in difficoltà. Ma tra tutti, c’è stato un prete che ha scelto di farsi carico di un’intera comunità, quando ha compreso che qualcosa di profondamente corrotto minacciava il territorio intorno al suo borgo. Quel prete si chiamava Don Cesare Boschin, parroco della Santissima Annunziata a Borgo Montello. Aveva cominciato a indagare e denunciare quello che avveniva nella discarica del borgo. Ma tutto si è interrotto bruscamente la notte del 29 marzo 1995, quando venne barbaramente ucciso.

Questo racconto non è un’inchiesta giornalistica: non ne ho le competenze, né la pretesa. È un tentativo, invece, di restituire dignità e voce alla memoria di un uomo coraggioso: Don Cesare Boschin. Un parroco che ha scelto di servire la sua comunità, quella di Borgo Montello, fino all’estremo sacrificio. Ancora oggi, in molti lo ricordano con affetto e gratitudine. Vorrei che la sua storia giungesse alle nuove generazioni, e che tornasse a vivere nella coscienza di chi l’ha dimenticata… o ha preferito dimenticarla.

Discarica di Borgo Montello (Autore: Enrico de Divitiis) 

Borgo Montello sorge a dodici chilometri da Latina, conosciuto da tutti per la sua discarica: una delle più grandi del Centro Italia. Negli anni ’80, oltre alla gestione ufficiale, iniziarono a circolare voci sempre più insistenti: camion che arrivavano di notte, rifiuti tossici interrati, sversamenti illeciti. Si diceva che la malavita organizzata avesse messo le mani su quel terreno. E che nessuno avesse il coraggio di guardare troppo da vicino.

Borgo Montello: l'ingresso della casa dove avvenne l'omicidio di Don Cesare Boschin

Don Cesare Boschin, parroco della Santissima Annunziata, aveva capito che qualcosa di losco si muoveva attorno alla discarica. E lui non era disposto a chiudere gli occhi. Quelle voci vennero confermate tanti anni dopo dal pentito Carmine Schiavone, ex boss del clan dei Casalesi divenuto collaboratore di giustizia. Inoltre, dichiarò che Don Cesare fu ucciso perché aveva scoperto il coinvolgimento della camorra nello smaltimento illegale di rifiuti tossici a Borgo Montello, con la complicità di imprenditori, politici e uomini delle istituzioni.

Un prete veneto nella nuova terra dell’Agro Pontino

Cesare Boschin nasce a Silvelle, una frazione del comune di Trebaseleghe, in provincia di Padova. È il terzo di otto figli. Il padre, Giuseppe, è muratore; la madre, Clementina Cazzaro, si dedica alla sua numerosa famiglia. Cesare è un bambino molto legato ai suoi affetti: ama studiare e frequentare la chiesa della sua frazione e quella di Piombino Dese, un paese a cinque chilometri di distanza. Fin da ragazzino coltiva il desiderio di diventare prete; in seguito entrerà nel seminario di Treviso.

Purtroppo, è costretto ad abbandonarlo per le difficoltà economiche: la famiglia non può permettersi di sostenere la retta. Viene poi accolto nella Piccola Casa della Divina Provvidenza di Don Luigi Orione. Qui riprende gli studi, prima a Tortona, poi a Genova. Il 12 luglio 1942, in provincia di Pavia, viene ordinato sacerdote nel Santuario della Madonna del Caravaggio a Fumo, frazione del comune di Corvino San Quirico, dove sarà viceparroco negli anni della Seconda guerra mondiale.

1942: Don Cesare Boschin viene ordinato sacerdote

Don Cesare e la costruzione di una comunità

Nel 1945 Don Cesare Boschin viene trasferito a Roma, e in seguito ad Anzio, per assistere la popolazione duramente colpita dalla guerra. Nel 1950 accetta la proposta del vescovo di Albano di occuparsi della ricostruzione della chiesa di Santa Maria Goretti, a Le Ferriere, nel comune di Latina. Per via delle sue origini, gli viene affidata anche la vicina parrocchia della Santissima Annunziata a Borgo Montello, abitato in gran parte da emigranti veneti e friulani, giunti nell’Agro Pontino durante e dopo la bonifica.

Don Cesare Boschin con dei giovanissimi calciatori

Nella nuova parrocchia si mette subito all’opera: fonda l’Azione Cattolica, promuove iniziative per i giovani, crea una compagnia teatrale e una corale per l’integrazione tra ragazze e ragazzi. Inoltre è sempre vicino agli ultimi. È un uomo semplice e riservato, ma con principi solidi come rocce, e crea un legame profondo con la sua gente. Non si limita alla sacrestia: partecipa alla vita del borgo, e si interessa con attenzione a tutto ciò che accade intorno. Nel 1971 viene attivata una grande discarica: all’inizio, per il borgo, appare come una grande opportunità.

La giovialità di Don Cesare

La discarica e l’ombra del sospetto

Ma negli anni ’80 e ’90, Don Cesare capisce che qualcosa di oscuro si sta insinuando nel territorio, un male silenzioso che avvelena le falde, l’aria, le coscienze: Don Cesare decide di non voltarsi dall’altra parte: ascolta, prende appunti, cerca conferme. Ha compreso che sotto i suoi piedi si consuma un dramma ambientale e sociale che potrebbe segnare il destino della comunità. Comincia così a raccogliere testimonianze e a denunciare le attività sospette che ruotano intorno alla discarica.

Don Cesare insieme ai suoi genitori

Partecipa a incontri pubblici, scrive lettere alle autorità, si unisce a un piccolo comitato civico che chiede trasparenza e giustizia. La sua voce, all’inizio isolata, comincia a dar fastidio. È scomodo. È troppo informato. Ma Don Cesare non arretra. Anche davanti alle intimidazioni, resta in piedi. E tira dritto per la sua strada.

Borgo Montello (LT) Don Cesare con la sua Fiat 850

Il brutale assassinio di Don Cesare Boschin

È la notte di mercoledì 29 marzo 1995, e qualcosa di terribile sta accadendo nella casa di Don Cesare Boschin. La mattina seguente, la sua assistente Franca Rosato trova il parroco senza vita. La scena è raccapricciante. Don Cesare è incaprettato, e gli hanno tappato la bocca con del nastro adesivo. L’autopsia rivelerà che la morte è sopraggiunta per soffocamento dopo aver ingoiato la dentiera a causa delle violente percosse subite.

1962: Don Cesare sposa la nipote Laura a Borgo d'Ale, in provincia di Vercelli

È subito chiaro che non si tratta di una rapina: al polso ha ancora l’orologio, nel portafoglio ci sono seicentomila lire, inoltre viene ritrovata anche una scatola con altro denaro in un armadio. A mancare, però, sono le sue agende, che contenevano nomi, date, fatti e sospetti legati alla discarica. È difficile non pensare a un’esecuzione. Un messaggio. Un avvertimento diretto a chi, come lui, faceva troppe domande. L’ombra della mafia si allunga subito sulla vicenda, ma quell’ipotesi, scomoda e pericolosa, nessuno l’approfondirà davvero.

Borgo d'Ale (VC) Don Cesare in visita ai suoi parenti: seconda da sx la sorella Rina

Anzi, si arriva perfino a seguire la pista di un delitto a sfondo sessuale, infangando la sua memoria e il suo impegno. Dapprima sarà indagato un sacerdote colombiano, per questioni economiche, e poi un polacco senzatetto. Ma nessuna delle due piste porterà risultati. Nel 1999, le autorità archiviano il caso. Due anni dopo, nel 2001, Il Tribunale di Latina ordina di distruggere i reperti: una decisione assurda, che impedisce qualsiasi nuova analisi del DNA o ulteriori accertamenti scientifici. Una chiusura definitiva, che lascia perplessa l’intera comunità di Borgo Montello… e non solo.

Borgo Montello: Don Cesare nella sua chiesa Santissima Annunziata

Diversi anni dopo alcune informazioni riaccendono l’attenzione sul caso. Nel 2009, Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, chiede pubblicamente la riapertura delle indagini, avanzando l’ipotesi di un omicidio di stampo mafioso legato al traffico illecito di rifiuti perché Don Cesare, con la sua ostinazione, rappresentava una minaccia concreta a quel sistema. Libera lo inserirà, in seguito, nell’elenco delle vittime innocenti delle mafie. Neanche le dichiarazioni del pentito Carmine Schiavone nel 2013 porteranno a un nulla di fatto. Ufficialmente la discarica è chiusa dal 2016, ma è ancora in attesa di essere bonificata.

Festa grande a Borgo Montello: Don Cesare Boschin diventa Monsignore

La testimonianza di Claudio Gatto, amico e assistente di Don Cesare

Raggiungo Claudio Gatto nella sua casa a Borgo Montello, grazie al mio amico Vincenzo Bianchi e della sua collaboratrice Paola Riccio che mi ha dato il suo contatto. Claudio è stato molto più di un semplice parrocchiano: per Don Cesare, è stato un punto di riferimento costante, un amico fidato, un assistente presente fino all’ultimo giorno.

Claudio, da quando conoscevi Don Cesare?

“Da bambino. Avevo cinque anni quando iniziai a servire messa con lui. L’ho assistito fino alla fine”

Come lo ricordi?

“Come una persona profondamente umana. Aiutava i giovani del borgo a trovare lavoro, ma non si fermava lì: pensava anche alla loro formazione, alla cultura. Insieme a un professore delle medie, Loreto Solazzi, realizzò una biblioteca che faceva invidia perfino a quella di Latina. Ricordo che nei primi anni Cinquanta, il primo televisore lo comprò lui, e la sera tutto il borgo si ritrovava nella sala parrocchiale. Ha creato socialità, legami. Per lui questa comunità era tutto. Negli ultimi anni si dedicò anche agli anziani, con la stessa attenzione e affetto”

Cosa pensava della discarica?

“All’inizio la vide come un’opportunità. Grazie a lui, molte persone del borgo trovarono lavoro lì. Ma quando la discarica cominciò ad accogliere rifiuti industriali, e i primi casi di tumore colpirono la comunità, tutto cambiò. Don Cesare capì che qualcosa non andava. Da quel momento iniziò la sua battaglia: si fece portavoce del popolo. Credo che in confessionale abbia raccolto tante confidenze… e proprio da lì abbia iniziato a collegare i pezzi. Cominciò a denunciare, a scrivere, a fare domande. Non poteva più restare in silenzio”

Non aveva paura?

“Certo, ma la sua determinazione era più forte della paura. Considera che era malato da tempo ai polmoni. Nell’ultimo ricovero, nell’ospedale di Albano, decise di firmare perché voleva morire tra i suoi parrocchiani ed essere sepolto nella sua chiesa. Anche il vescovo Bernini cercò di farlo desistere, perché sapeva delle minacce ricevute, ma lui non volle sentire ragioni”

Il suo momento più bello?

“Quando lo nominarono Monsignore. Era così orgoglioso della nuova tonaca. Facemmo una grande festa”

Una delle ultime immagini di Don Cesare. A sx suo nipote Luciano Boschin

A distanza di trent’anni, il nome di Don Cesare Boschin è quasi scomparso dalla memoria collettiva. Nessuna intitolazione ufficiale, nessuna cerimonia pubblica, nessuna giustizia. Eppure, la sua storia parla ancora. Parla di un’Italia dove chi denuncia muore solo. Dove l’ambiente viene sacrificato sull’altare degli affari. Dove la verità si copre di fango e silenzi.

Oltre Claudio Gatto, desidero ringraziare Isabella Formica, nipote di Don Cesare Boschin, per avermi messo a disposizione le foto del suo amato zio.

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1 Comment

  1. Questa storia è testimonianza non può essere dimenticata. La popolazione di Borgo Montello deve organizzarsi e costituirsi in Comitato Civico per le iniziative per non dimenticare

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