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“Riveder le stelle (con l’Under 21)” Daje Ringhio: il futuro passa da qui

Non tutte le sere inizi con il desiderio di guardare una partita. A volte scegli il calcio per abitudine, altre per fede, altre ancora solo per noia. Ieri, invece, è stato il ricordo a decidere per me. Perché quando vedi “Italia-Germania”, anche se è una Under 21, qualcosa si accende. Un’eco antica. Un brivido. Un pezzo di storia che ritorna. così, ieri sera, ho assistito a una partita epica. Non per il risultato, ma per lo spirito, per il cuore messo in campo, per il modo in cui quei ragazzi hanno onorato la maglia. Quello che dispiace, semmai, è stato non trovare questa storia nelle prime pagine dei quotidiani sportivi. Come se il coraggio, la bellezza e la passione, quando arrivano dai giovani, lontano dai riflettori, contassero meno.

Ieri sera, quasi per caso, ho scoperto che l’Italia Under 21 avrebbe affrontato la Germania nei quarti di finale degli Europei. Una notizia che, almeno all’inizio, mi ha lasciato indifferente. Troppe le delusioni recenti della Nazionale maggiore, troppe le attese tradite. Per un attimo, ho accarezzato l’idea di scegliere un film, qualcosa di leggero, magari prevedibile, ma rassicurante.

Eppure, proprio mentre stavo per afferrare il telecomando, un pensiero mi ha fermato: la semifinale del 1970, quella leggendaria Italia-Germania 4-3. Un’epopea sportiva che vive ancora nitida nella memoria collettiva e, nel mio caso, personale. Ricordo ogni dettaglio, ogni respiro di quella notte messicana: perché certe partite non si dimenticano, non si scoloriscono con il tempo. Restano lì, intatte, a ricordarci perché ci siamo innamorati del calcio.

Così ho cambiato idea. Perché, a chi ama davvero questo sport, un’Italia-Germania, anche a livello Under 21, non è mai una partita qualsiasi. È una rievocazione, un richiamo epico. È il riaccendersi di una rivalità storica, fatta di orgoglio, destino e passione. E in fondo, forse, è proprio questo il bello del calcio: la sua capacità di farci tornare bambini davanti a uno schermo, sperando ancora in qualcosa di grande.

E qualcosa di grande è davvero accaduto. Ho visto quei giovanissimi calciatori dare l’anima, combattere su ogni pallone con una passione e una determinazione che, francamente, non si vedevano da tempo, soprattutto se si guarda alla Nazionale maggiore. Un gruppo unito, affamato, capace di sfidare la sorte e l’arbitro, sì, perché si è rivelato non all’altezza del peso della sfida.

E chissà, se la direzione di gara fosse stata più equa, forse avremmo rivisto un altro 4-3 indimenticabile. Perché gli Azzurrini, pur rimanendo in nove uomini per gran parte della partita, non hanno mollato. Anzi, hanno trovato la forza e il cuore per pareggiare all’ultimo minuto dei tempi regolamentari, regalando un’emozione vera, di quelle che ti tolgono il fiato.

Poi, a tre minuti dalla fine dei supplementari, i “Kartoffeln“, hanno segnato. Ma il risultato, stavolta, è solo una parte della storia. Quello che conta è ciò che questi ragazzi hanno mostrato: spirito, orgoglio, senso di appartenenza. Quello che Rino Gattuso, nuovo CT della Nazionale maggiore dovrà cercare di trasmettere ai calciatori che vestiranno la maglia azzurra. Ieri, inquadrato più volte sugli spalti, ha vissuto la partita con la stessa intensità di come l’ho vissuta io dal divano, alzandosi, per poi risedersi, nei momenti più delicati.

Insomma, con questi ragazzi giovanissimi e la loro cazzimma, possiamo ben sperare. Sempre che non si perdano per strada, risucchiati da un sistema spesso più attento ai riflettori che alla crescita reale dei talenti.

Perché il futuro del calcio italiano potrebbe essere già qui, tra questi volti freschi e gambe instancabili, tra sogni ancora puri e grida di gioia sguaiate. Basta saperli proteggere, guidare, credere in loro. E, magari, un giorno, tornare davvero a vincere. Ma con stile, con cuore. E con quella fame che ieri sera, finalmente, abbiamo rivisto brillare in campo.

Daje Ringhio.

(Foto di copertina: l’esultanza a Latina per la vittoria della Nazionale al mondiale 1982)

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